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Premio Nobel per la Chimica 2015 assegnato a Lindahl, Modrich e Sancar per gli studi sui meccanismi cellulari di riparazione del DNA

Mercoledì 7 Ottobre è stato assegnato il premio Nobel per la chimica a Tomas Lindahl (Svedese), Paul L. Modrich (Americano) and Aziz Sancar (Turco) per i loro studi che negli anni 70 hanno iniziato l’analisi dei meccanismi utilizzati dalle cellule per riparare il DNA danneggiato e salvaguardare l’informazione genetica.

Non voglio qui dilungarmi sulle notizie relative ai tre ricercatori. Avrete già avuto modo di leggerle su tutti i giornali.

Ricorderò solo il Prof. Lindahl, svedese di origine, che ha speso la maggior parte della sua carriera scientifica in Inghilterra dove ha anche diretto il prestigioso laboratorio di Clare Hall dell’ICRF (Imperial Cancer Research Fund). Lo ricordo perché la sua ricerca si è intrecciata con quella di scienziati Italiani, alcuni dei quali attivi nell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR a Pavia, da me diretto. Il Prof. Lindahl attualmente è presidente del Consiglio Scientifico dell’IFOM di Milano.

Il mio obiettivo è di trasmettervi qualcosa sul significato di queste ricerche. Di farvi intuire perché la poco considerata ricerca di base, sempre meno finanziata in Italia, abbia in realtà un ruolo fondamentale per comprendere malattie importati come i tumori e le malattie neurodegenerative che sono destinate ad affliggere sempre di più le società moderne caratterizzate da una crescente aspettativa di vita. Ricerche che costituiscono una premessa essenziale per identificare bersagli per terapie innovative efficaci.

Il DNA è la molecola che contiene l’informazione necessaria per il funzionamento delle cellule e che specifica come siamo fatti, noi e tutti gli altri organismi che popolano questo pianeta. L’informazione è immagazzinata nella sequenza delle 4 lettere chimiche che costituiscono i mattoni del DNA. Un po’ come la sequenza delle lettere dell’alfabeto nelle parole. In ogni cellula del nostro organismo sono contenute due copie di questa informazione. E ad ogni divisione cellulare queste vengono duplicate dando origine a due copie identiche delle molecole iniziali. In questo modo le due cellule figlie contengono la stessa informazione che era presente nella cellula madre. Un compito incredibile se pensiamo che un uomo adulto contiene più di 10 mila miliardi di cellule tutte derivanti dalla cellula uovo fecondata. Ancora più incredibile se pensiamo che la molecola di DNA contenuta in una singola cellula è formata da 3 miliardi di lettere chimiche.

La cosa è ancora più complessa se pensiamo alla struttura del DNA: una doppia elica costituita da due filamenti tra loro complementari, ognuno dei quali formato da una singola lunghissima catena di atomi. Se srotolassimo il DNA di una singola cellula sul tavolo otterremmo un filo lungo circa 1,5 metri e largo appena 0,000025 millimetri. Il tutto impaccato in modo preciso all’interno di una sfera (il nucleo cellulare) con un diametro di appena 1/100 di millimetro.

Proprio da queste caratteristiche, nascono alcuni dei problemi per la stabilità della molecola e l’integrità dell’informazione in essa contenuta. Il DNA infatti va incontro continuamente a srotolamenti e riavvolgimenti locali della doppia elica, necessari per permettere la trascrizione dei geni e per la duplicazione. Le sofisticate macchine molecolari che operano questi processi si sono evolute per generare meno danni possibili. Ma con una certa frequenza, anche se molto bassa, introducono errori e rotture sul DNA. Rompono i legami chimici che tengono unite due lettere (nucleotidi) successivi. Oggi sappiamo che proprio la trascrizione dei geni è uno dei momenti più delicati per la stabilità del DNA. Inoltre il DNA è molto sensibile a danni che possono venir indotti da radicali liberi prodotti durante il normale metabolismo della cellula. Insomma una serie di problemi connessi al processo vitale mettono costantemente a rischio l’integrità della molecola di DNA. A questi si aggiungono sostanze chimiche e agenti fischi esterni alla cellula e in grado di perturbare la stabilità della molecola di DNA, di rompere i legami chimici che tengono uniti i nucleotidi o di modificare la struttura stessa dei nucleotidi rendendoli illeggibili.

Insomma una combinazione di stress fisici, chimici e meccanici che mettono a dura prova le due catene di atomi in cui è conservata l’informazione genetica. In assenza di sistemi in grado di riparare fedelmente la molecola di DNA, questa verrebbe polverizzata in breve tempo.

Proprio da questa considerazione nascono le domande che si sono posti i tre ricercatori che hanno ricevuto il Nobel per la Chimica: Esistono dei meccanismi molecolari che operano nella cellula e che permettono di riparare l’enorme quantità di danno che mette a rischio la vita? Esistono meccanismi differenti per riparare danni diversi dal punti di vista chimico, provocati dal metabolismo della cellula o da agenti esterni come le radiazioni UV? E come viene affrontato il danno durante la replicazione del DNA?

Il loro merito è quello di aver cominciato ad affrontare il problema e di aver messo le basi per una ricerca che ancora oggi ci stupisce con sorprendenti novità e ci permette di capire sempre meglio l’insorgenza dei tumori, delle malattie neurodegenerative e l’invecchiamento.

Tutti fenomeni collegati a difetti di riparazione del danno al DNA. L’Istituto di Genetica Molecolare ha svolto e continua a svolgere un ruolo importate in questo tipo di studi. Ad esempio analizzando una serie di malattie genetiche ereditarie dovute a difetti della riparazione del danno su DNA quali lo Xeroderma Pigmentoso. Difetti che predispongono ai tumori, ma che sono associati anche ad invecchiamento precoce, difetti di crescita e ritardo mentale. Studi che hanno mostrato una connessione molto stretta tra riparazione dei danni indotti da UV e apparato trascrizionale. E, come ha dimostrato recentemente uno dei nostri ricercatori, esistono anche danni irriparabili sul DNA che si verificano in corrispondenza dei telomeri e che sono alla base dell’invecchiamento sia della cellula che dell’organismo.

Insomma, un ulteriore esempio che dimostra l’importanza della ricerca di base per la comprensione dei meccanismi che stanno alla base del corretto funzionamento della cellula. Meccanismi che quando alterati causano una serie di malattie mortali o con ricadute devastanti per i pazienti e le loro famiglie.

(Prof. Giuseppe Biamonti)